mando la sua coltura, disordinata, ma ge-
niale... non gli avrebbe giovato quella fe-
lice ignoranza, che lo avrebbe lasciato
immune da ogni influsso non naturale, e
non lo avrebbe portato in quelle regioni
dell’iperbole, ove, a chi lo avvicinò negli
ultimi anni, egli parve considerare e sé
stesso, e la funzione e la missione della sua
vita, in un grado e in un modo che non
erano più in rapporto diretto con la realtà
della vita stessa e col vero suo compito
nell’arte”
4
.
Isolare Segantini in un primitivismo che
non fu suo, come separarne le inclinazioni
simboliche da quelle “naturalitiche”, e ac-
cantonarne la volontà di aperture cultu-
rali, fossero anche quelle, difficilmente
praticabili, di un Nietzksche, significa non
comprendere l’artista e sottovalutarne la
creativa complessità. Anche, per tornare al
nostro tema, in quanto concerne lo spiri-
tuale e il suo intrecciarsi e inverarsi col e
nel naturale nella pittura e le sue stesse
enunciazioni teoriche, che risentono della
frammentarierà della sua cultura e della
sua difficoltà ad esprimersi su siffatto re-
gistro, per lui inconsueto, e perciò da in-
terpretare/valutare per quello che sono,
tenendo pure conto della loro non rara e
non intenzionale oscurità. Dal primo suo
scritto, semplicemente e felicemente inti-
tolato
Così penso e sento la pittura
, già nel
1891
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, in cui muove da affermazioni gene-
rali di base (“L’ arte deve rivelare sensa-
zioni nuove allo spirito dell’iniziato”,
“l’idea ... deve prender corpo sulla tela,
creando l’opera che sarà spiritualmente
personale e materialmente vera. Non di
quella verità esteriore, superficiale e con-
venzionale che è l’impronta dell’arte così
detta moderna, ma di quella che oltrepas-
sando le barriere della superficialità delle
linee e dei toni sa dare vita alla forma e
luce al colore... Il vero è là. Entra nel-
l’anima e fa parte dell’idea.”), per alzare
poi il tiro ipotizzando addirittura una fu-
tura funzione sacrale religiosa dell’arte
(“Nell’avvenire, sorpassato il passato di
trasformismo trafficante e materialista, che
ora attraversiamo, si svilupperà dalle
nuove forme sociali una forma vitale del-
l’arte. Letteratura, musica, pittura, non più
serve e prostitute, formeranno la trinità
dello spirito: per esse sarà religione e musa
la evoluzione cosmica, guida la scienza,
fonte di ispirazione il sentimento alto e se-
reno della natura... L’arte deve rimpiazzare
il vuoto lasciato in noi dalle religioni, l’arte
dell’avvenire [riminiscenza wagneriana]
dovrà apparire come scienza dello spirito,
essendo l’opera d’arte la rivelazione di
esso.”). Fino all’ultimo, più mirato, inter-
vento,
Che cos’è l’arte
, del dicembre 1998
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,
sulla scia delle discussioni suscitate dal
Qu’est-ce-que l’art
di Leone Tolstoi :”Del-
l’arte fatene un culto; sia questo culto
un’emanazione delle belle virtù dello spi-
rito, ed abbia radice nella natura madre
della vita, e sia in rapporto con la vita in-
visibile della natura e dell’universo”.
Un’esortazione-programma, sintesi e tra-
guardo del suo pensiero e della sua arte,
raccordo ideale e reale, ispirato e aperto,
col pensiero e l’arte di Marrocco e Savelli,
che quei presupposti vivono e fanno rivi-
vere, come sopra s’è detto, nella stringente
attualità del presente e nell’autonomia
della loro ispirazione, sensibilità e creati-
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