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teria. Gli è accanto, a completare in qualche modo le
tre vie più consuete della grammatica informale – il
gesto, la materia, il segno – l’opera di Capogrossi,
che fa della sua inconfondibile sigla, vera e propria
scrittura privata, sorta di personale ideogramma, la
propria cifra stilistica.
Si prosegue poi con una splendida opera di Piero
Dorazio, una trama di segni cromatici in armonico
contradditorio con le geometrie di Achille Perilli, suo
compagno di avventura nella scena artistica romana
tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta. Il dialogo
è intenso anche tra le sciabolate di un colore che si
fa corpo, materia, istinto, di Chighine e gli intrecci di
Scanavino, in mostra con un lavoro degli anni Set-
tanta. Il percorso prosegue con le eleganti scansio-
ne geometriche tessute nel colore di Toti Scialoia, a
confronto con quelle dinamiche, intarsiate nella pie-
tra di Pietro Consagra.
Chiude l’esposizione un’opera che esula dal percor-
so storico proposto ma che presenta più di un’affinità
elettiva nell’intensità del gesto e della tavolozza con
gli altri lavori in mostra: la tela di Arcangelo vincitrice
dell’ultima edizione del Premio Bice Bugatti Segan-
tini.